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La storia ecclesiastica
La fondazione della chiesa di S. Silvestro è da ritenersi senz’altro antichissima, anche se mai è stato possibile determinare una datazione sicura.
Sappiamo dagli storici della Chiesa trevigiana che i monaci nonantolani di S. Maria Maggiore di Treviso, nell’888, scapparono dalla città sottoposta al saccheggio delle orde degli Ungari e presumibilmente si rifugiarono presso il loro possedimento di Selva.
S. Silvestro di Selva fu, infatti, fin dall’inizio, chiesa e successivamente parrocchia retta dai monaci benedettini nonantolani di S. Maria Maggiore di Treviso.
La scelta del patrono stesso, S. Silvestro I papa, deriva dalla titolarità della casa madre di questo ordine benedettino: l’abbazia di S. Silvestro di Nonantola (Modena).
Volendo proprio arrivare ad una datazione di riferimento, si potrebbe citare un ampio arco temporale che abbraccia i secoli VIII e IX d. C.
Il primo documento scritto che cita S. Silvestro, S.Cecilia, S. Nicolò, S. Vitale, è ben posteriore: la bolla papale di Eugenio III che elenca le filiali della pieve di Volpago.

Nel 1341, S. Sivestro di Selva, S. Cecilia di Lavaio e S. Nicolò di Arson furono riunite in una sola parrocchia di giurisdizione dei monaci nonantolani e quindi non facente parte della diocesi di Treviso, dando inizio a secoli di diatribe con l’autorità vescovile.
Selva, Lavaio, Arson e Castagnè erano ciascuna quattro comunità ben distinte che si riconoscevano in un ambito territoriale ben definito che faceva capo ad una chiesa con un proprio santo patrono:
S. Silvestro per Selva,
S, Cecilia per Lavaio,
S. Nicolò per Arson
S. Vitale per Castagnè.
Forse risale all’unificazione delle tre “cappelle” in un’unica parrocchia l’istituzione della festa della S. Croce che è la vera festa del paese. Sembra di capire che ogni comunità abbia ”rinunciato” al proprio santo patrono e si sia convenuto di affidarsi religiosamente al simbolo unificatore della S. Croce.

Carlo Agnoletti, autore di “Treviso e le sue pievi” ( Treviso, 1871 ) ipotizza che la fondazione di S. Cecilia di Lavaio fosse anteriore a quella stessa di S. Silvestro e che il toponimo “selva” fosse ben più adatto alla località dove fu costruita la chiesa di S. Cecilia. Chiesa, è opportuno sottolinearlo, sorta sulle rovine e con i resti di una “domus rustica” di epoca romana. ( I sec a. C. / I sec. d. C.). Questa chiesa, che conteneva anche un secondo altare dedicato a S. Lucia, con alterne vicende, durò grosso modo un millennio fino alla metà del XVIII sec. quando ormai cadente ed irrecuperabile fu definitivamente abbandonata. Il sito divenne area cimiteriale poi dismessa a metà’800. Ora solamente un angolo di sassi scalcinati, in mezzo ai campi indica l’ubicazione di S. Cecila di Lavaio.

S. Nicolò di Arson sorgeva molto addentro nel bosco ( presumibilmente nei pressi dell’incrocio della Presa IX con la VIII ). Nel 1591 l’intero Montello fu demaniato dalla Serenissima e progressivamente trasformato in un bosco di puro querceto, operazione questa che ha cancellato ogni traccia di edifici antichi nel bosco. S. Nicolò era invocato contro gli incendi che, in un ambiente boschivo e avaro d’acqua dovevano essere frequenti. Per “rinforzare” la protezione si aggiunse anche S.Antonio Abate, localmente chiamato “S. Antoni del fogo”, non tanto per la caratteristica eruzione cutanea, quanto come riconosciuto protettore contro gli incendi, soprattutto nelle stalle. Abbiamo documentazione scritta delle vicende della comunità di Arson che richiedeva un prete stabile,( che mai veniva concesso.). che subì anche una scomunica per le fattive e “devastanti” proteste.

S.Vitale di Castagnè, a cui s’aggiuse posteriormente S. Biagio, fu dal suo inizio dipendenza del monastero di Lovadina. Anche questa chiesa fu del tutto demolita nel XVIII sec. e Castagnè divenne a tutti gli effetti parrocchia di Selva. Volendo localizzarla abbiamo alcune indicazioni di Alessandro Saccardo che parlando circa un secolo dopo il suo abbandono (1850) la descrive come “appena dentro la Brentella, di fronte le case dei Mussato”, al centro di un’area leggermente ondulata.

Per completare il quadro dei santi protettori delle varie ripartizioni territoriali è da segnalare che con l’introduzione della coltivazione del mais anche la “campagna”, fino ad allora destinata alle sole coltivazioni, cominciò a vedere l’insediarsi di famiglie- ceppo che, nel corso dei secoli, svilupparono la popolazione locale. La famiglia veneziana dei Tron, che in questo periodo divenne proprietaria di un latifondo, aveva una cappella dedicata a S. Rocco ( che dal XV secolo aveva sostituito S. Sebastiano come protettore soprattutto contro la peste) cui facevano capo per le pratiche religiose sia i fedeli della Campagna dai Beuni, sia quelli della Campagna di Tesi. Tesi, soprannome locale dei De Marchi che nutrivano un culto familiare per S. Rita che s’aggiungeva alla patrona S. Elena.


 
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